Minacce informatiche: cos'è lo Shitstorm?

by Antonello Camilotto

Lo "shitstorm" è un termine nato nell’ambito dei social media per descrivere una tempesta di commenti negativi e attacchi verbali rivolti a una persona, azienda o organizzazione online.


Tale fenomeno è diventato una vera e propria minaccia informatica, poiché, in alcuni casi, può causare danni reputazionali gravi, influenzare le decisioni aziendali e anche incidere sull’aspetto psicologico delle vittime. Lo shitstorm è quindi un esempio di come le dinamiche di internet possano trasformarsi in uno strumento di attacco, capace di produrre un impatto significativo sia a livello personale che professionale.


Origini del termine e contesto


Il termine “shitstorm” proviene dalla lingua inglese e letteralmente significa “tempesta di escrementi”, indicando simbolicamente un diluvio di critiche e insulti. La sua diffusione è avvenuta in parallelo con la crescita dei social network e dei forum online, dove la possibilità di comunicare con un vasto pubblico ha facilitato la condivisione di opinioni, spesso anche in modo aggressivo. Lo shitstorm è, di fatto, una reazione collettiva negativa e concentrata in un lasso di tempo breve, diretta contro una specifica entità a seguito di un evento o di un'affermazione controversa.


Dinamiche dello shitstorm


Lo shitstorm nasce e si sviluppa in un ambiente virtuale, principalmente attraverso social media come Facebook, Twitter, Instagram e altre piattaforme online. Generalmente si innesca in risposta a eventi considerati offensivi, immorali, discriminatori o semplicemente impopolari. I commenti negativi aumentano rapidamente, poiché molti utenti, animati da un sentimento di sdegno, si uniscono alla massa senza necessariamente approfondire la questione. In breve tempo, la situazione può degenerare, trasformandosi in una vera e propria campagna denigratoria.


Uno degli aspetti più pericolosi di questa dinamica è il cosiddetto “effetto eco”: gli utenti, trovandosi in un contesto di pensiero omogeneo e di reciproco supporto, tendono a esprimere opinioni sempre più estreme. Questo amplifica il tono negativo della conversazione e, contemporaneamente, riduce le possibilità di un confronto equilibrato.


Differenze tra shitstorm e altre minacce informatiche


È importante distinguere lo shitstorm da altri tipi di minacce informatiche, come il cyberbullismo o il trolling, pur avendo elementi in comune. Nel caso del cyberbullismo, infatti, le azioni negative sono generalmente dirette verso singole persone e tendono a essere più mirate e personali. Lo shitstorm, invece, si rivolge spesso a organizzazioni, aziende o personaggi pubblici e ha una natura collettiva. A differenza del trolling, che è solitamente motivato dal desiderio di provocare o divertirsi, lo shitstorm scaturisce da un disaccordo ideologico o morale condiviso da una vasta platea.


Conseguenze dello shitstorm


Le conseguenze di uno shitstorm possono essere estremamente gravi. In ambito professionale, le aziende possono subire un danno reputazionale difficilmente recuperabile, con impatti significativi sulle vendite, sulle relazioni con i clienti e sulla fiducia del pubblico. Inoltre, la pressione mediatica creata dallo shitstorm può portare l’azienda a prendere decisioni affrettate o a cambiare radicalmente la propria strategia comunicativa, talvolta con risultati controproducenti.


Per le persone individuali, specialmente per chi si trova improvvisamente sotto i riflettori, le conseguenze possono essere ancora più drammatiche. Oltre alla reputazione, possono subire stress psicologico, ansia e in alcuni casi anche depressione. In alcuni casi estremi, lo shitstorm può portare le vittime a isolarsi socialmente, sospendere le proprie attività online o, nel peggiore dei casi, a subire minacce fisiche.


Difendersi dallo shitstorm


Difendersi da un shitstorm è complesso, ma non impossibile. Alcune strategie utili per attenuare l’impatto di un attacco online includono:


- Gestione rapida della crisi: rispondere tempestivamente e in modo professionale può placare l’ondata di critiche e limitare la diffusione di informazioni errate o esagerate.


- Trasparenza: spiegare in modo chiaro e diretto la propria posizione può aiutare a riguadagnare la fiducia di parte del pubblico.


- Uso degli strumenti di moderazione: molte piattaforme social offrono strumenti per nascondere o filtrare i commenti offensivi, che possono aiutare a mantenere un controllo parziale sulla situazione.



- Supporto psicologico e legale: nelle situazioni più gravi, rivolgersi a professionisti del settore può essere utile per affrontare lo stress e valutare le azioni legali disponibili.


Lo shitstorm rappresenta una minaccia informatica che evidenzia il potere e i rischi dell’opinione pubblica digitale. Non si tratta di un semplice flusso di critiche, ma di un attacco collettivo che può mettere in difficoltà individui e organizzazioni, sia a livello morale che economico. Conoscere le dinamiche dello shitstorm e le modalità di difesa è essenziale per navigare il complesso ambiente digitale odierno. La prevenzione, la gestione della comunicazione e la prontezza di rispondere in modo strategico e controllato sono fondamentali per ridurre i rischi e mantenere una buona reputazione online.


© 𝗯𝘆 𝗔𝗻𝘁𝗼𝗻𝗲𝗹𝗹𝗼 𝗖𝗮𝗺𝗶𝗹𝗼𝘁𝘁𝗼

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Autore: by Antonello Camilotto 10 agosto 2025
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Un mondo in cui sfiorare uno schermo significhi percepire la consistenza della seta, ascoltare un suono sia un’esperienza immersiva come dal vivo, e respirare davanti a un dispositivo faccia arrivare l’aroma del caffè appena macinato. Non è fantascienza, ma il prossimo passo nell’evoluzione della tecnologia: i sensi artificiali. Ricercatori e aziende di punta stanno lavorando per trasformare l’interazione con il digitale in qualcosa di multisensoriale. Grazie a micro-sensori tattili, sistemi di realtà aumentata e riproduzione chimica controllata degli odori, sarà possibile vivere esperienze virtuali che coinvolgono vista, udito, tatto e persino olfatto. Gli esperti parlano di una “internet sensoriale” che aprirà scenari inediti: shopping online dove si potrà provare la stoffa prima di acquistare, corsi di cucina a distanza in cui si sentirà il profumo delle ricette, visite virtuali a musei dove il tatto guiderà l’esplorazione delle opere. Se da un lato le applicazioni sembrano infinite, dall’altro emergono interrogativi su privacy, sicurezza e possibili effetti psicologici di una realtà sempre più indistinguibile dal mondo fisico.  Una cosa è certa: la frontiera dei sensi artificiali sta arrivando, e cambierà il nostro modo di percepire il digitale.
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Negli ultimi anni, il diritto all'oblio è emerso come uno dei temi più discussi nell’ambito della privacy digitale. In prima linea si trova la deindicizzazione, un processo che consente ai cittadini di chiedere la rimozione di determinati link dai risultati di ricerca di Google e altri motori, quando ledono la reputazione o la vita privata. Ma come funziona davvero? E quali sono i confini tra tutela della privacy e diritto di cronaca? Cos’è la deindicizzazione La deindicizzazione non è la cancellazione di un contenuto dal web, ma la sua rimozione dai risultati dei motori di ricerca. In pratica, l’articolo o il documento originale resta online, ma non sarà più rintracciabile digitando il nome dell’interessato. Questo strumento è diventato centrale dopo una storica sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 2014, che ha riconosciuto il diritto dei cittadini europei a “non essere più ricordati” per fatti non più rilevanti. Chi può richiederla Chiunque può presentare una richiesta di deindicizzazione a Google, purché riguardi informazioni obsolete, non più pertinenti o lesive della reputazione personale. Spesso si tratta di articoli su indagini archiviate, condanne scontate, o vicende private ormai lontane nel tempo. Le richieste vengono esaminate da Google caso per caso, valutando un delicato bilanciamento tra interesse pubblico, libertà di informazione e tutela della persona. Come funziona la procedura Il processo è semplice, almeno formalmente. Basta compilare un modulo online disponibile sulla pagina ufficiale di Google, allegando una copia di un documento d’identità e i link contestati. Dopo una valutazione interna, il motore di ricerca può decidere di rimuovere il collegamento o respingere la richiesta. In caso di diniego, è possibile rivolgersi al Garante per la Protezione dei Dati Personali o, in ultima istanza, al giudice ordinario. Le sfide aperte Il dibattito resta acceso. I sostenitori della deindicizzazione la considerano un passo avanti nella protezione della dignità individuale nell’era digitale. I critici, invece, temono derive censorie e la riscrittura della memoria collettiva. Inoltre, la rimozione avviene solo su richiesta dell’interessato, e spesso solo su versioni europee del motore di ricerca, lasciando aperte falle nel sistema. Tra diritto all’oblio e libertà di stampa La questione centrale è sempre la stessa: dove finisce il diritto all’oblio e dove inizia il diritto di cronaca? Un tema che impone riflessioni complesse, soprattutto in un contesto dove le informazioni sono accessibili con un semplice clic e restano online, potenzialmente, per sempre. In definitiva, la deindicizzazione rappresenta un tentativo di ridare alle persone un controllo minimo sul proprio passato digitale. Non è una bacchetta magica, ma una risposta – parziale e imperfetta – a un problema ormai universale: la persistenza della memoria nell’era di Internet.
Autore: by Antonello Camilotto 1 agosto 2025
Negli ultimi anni, si sente parlare sempre più spesso di "coin", specialmente in relazione alle criptovalute e alla finanza digitale. Ma cosa sono esattamente le coin e perché stanno attirando così tanta attenzione? Definizione di "Coin" Il termine "coin" (letteralmente "moneta" in inglese) viene usato per indicare una criptovaluta nativa di una propria blockchain. In altre parole, è una forma di denaro digitale che opera su una rete decentralizzata autonoma. Le coin sono diverse dai token, che invece funzionano su blockchain già esistenti (come Ethereum, per esempio). Esempi di Coin: Bitcoin (BTC) – La prima e più famosa coin, nata nel 2009. Ethereum (ETH) – Sebbene supporti token, è anch’essa una coin perché ha una sua blockchain. Litecoin (LTC) – Considerata la versione "light" di Bitcoin. Ripple (XRP) – Una coin focalizzata sui trasferimenti veloci tra istituzioni finanziarie. Come funzionano? Le coin utilizzano una tecnologia chiamata blockchain, un registro digitale distribuito che tiene traccia di tutte le transazioni. Ogni volta che qualcuno invia o riceve coin, la transazione viene verificata da una rete di computer (i cosiddetti nodi) e aggiunta a un "blocco", che viene poi collegato a una catena cronologica di blocchi. Questa struttura garantisce: Sicurezza, grazie alla crittografia. Trasparenza, perché le transazioni sono pubbliche. Decentralizzazione, poiché non esiste un'autorità centrale che controlli la rete. A cosa servono? Le coin possono avere diversi utilizzi, tra cui: Metodo di pagamento – Possono essere utilizzate per acquistare beni e servizi, sia online che in negozi fisici che le accettano. Riserva di valore – Alcuni le vedono come "oro digitale", specialmente nel caso di Bitcoin. Strumento di investimento – Molti le acquistano sperando in un aumento del loro valore. Funzione tecnica – Alcune coin servono a pagare commissioni o eseguire operazioni all’interno delle loro blockchain (es. ETH per le transazioni su Ethereum). Coin vs Token Le coin sono criptovalute native di una propria blockchain (es. Bitcoin, Ethereum), utilizzate come mezzo di pagamento o per alimentare la rete. I token, invece, sono asset digitali creati su blockchain esistenti (come Ethereum) e servono per scopi specifici, come accesso a servizi, governance o DeFi. Rischi e considerazioni Nonostante il potenziale, investire in coin comporta dei rischi: Volatilità: il loro valore può cambiare drasticamente in poco tempo. Regolamentazione: le leggi variano da Paese a Paese e sono in continua evoluzione. Sicurezza personale: la gestione delle chiavi private è fondamentale per non perdere l’accesso ai propri fondi. Le coin rappresentano una nuova forma di denaro digitale che sfida i tradizionali sistemi finanziari. Comprenderne il funzionamento e le differenze rispetto ad altri strumenti come i token è essenziale per chiunque voglia avvicinarsi al mondo delle criptovalute. Come per ogni innovazione, è bene procedere con curiosità, ma anche con prudenza.
Autore: by Antonello Camilotto 1 agosto 2025
Pochi nomi risuonano con la stessa forza e importanza di Alan Turing. Considerato uno dei padri fondatori dell'informatica moderna, Turing è stato un matematico, logico, crittografo e visionario il cui contributo ha rivoluzionato il modo in cui comprendiamo il calcolo e l'intelligenza artificiale. Gli inizi di un genio Alan Mathison Turing nacque il 23 giugno 1912 a Londra. Fin da giovane mostrò una straordinaria predisposizione per la matematica e la logica. Studiò al King's College di Cambridge, dove venne riconosciuto per il suo talento e dove iniziò a sviluppare le idee che avrebbero gettato le basi dell'informatica teorica. Nel 1936 pubblicò uno dei suoi lavori più celebri: "On Computable Numbers, with an Application to the Entscheidungsproblem", in cui introdusse il concetto di macchina di Turing. Questa macchina astratta, capace di eseguire una sequenza di istruzioni su un nastro potenzialmente infinito, rappresenta ancora oggi il modello teorico di base di ogni computer. Con questo concetto, Turing dimostrò che esistono problemi che nessuna macchina, per quanto potente, può risolvere: un'intuizione fondamentale per i limiti del calcolo. L’uomo che decifrò Enigma Durante la Seconda guerra mondiale, Turing fu arruolato a Bletchley Park, il centro britannico per la decifrazione dei codici. Qui guidò un team di crittografi che riuscì a rompere il codice della macchina Enigma, utilizzata dai tedeschi per cifrare le comunicazioni militari. Il suo lavoro, unito allo sviluppo di una macchina elettromeccanica chiamata Bombe, permise agli Alleati di intercettare e comprendere messaggi critici, contribuendo in modo decisivo alla vittoria contro il regime nazista. Si stima che il lavoro di Turing abbia accorciato la guerra di almeno due anni e salvato milioni di vite. Pioniere dell’intelligenza artificiale Dopo la guerra, Turing si dedicò allo studio dell’intelligenza artificiale e dei modelli di apprendimento automatico. Nel 1950 pubblicò l’articolo "Computing Machinery and Intelligence", nel quale propose quello che oggi è noto come Test di Turing: un criterio per determinare se una macchina può dimostrare un comportamento intelligente indistinguibile da quello umano. Questo test rimane uno degli argomenti più discussi nel campo della filosofia della mente e dell'IA. Una fine tragica, un'eredità eterna Nonostante i suoi meriti straordinari, Turing fu perseguitato a causa della sua omosessualità, che all'epoca era considerata un reato nel Regno Unito. Nel 1952 fu condannato e sottoposto a castrazione chimica. Due anni dopo, nel 1954, morì in circostanze misteriose, ufficialmente per suicidio. Solo molti anni dopo, il Regno Unito ha riconosciuto l'ingiustizia subita. Nel 2009 il governo ha presentato ufficialmente le scuse, e nel 2013 la Regina Elisabetta II gli ha concesso la grazia postuma. Nel 2021, l'immagine di Alan Turing è apparsa sulla banconota da 50 sterline, simbolo del suo incalcolabile contributo alla scienza e all’umanità. Alan Turing non fu solo un pioniere dell’informatica, ma un pensatore rivoluzionario che seppe immaginare il futuro dei computer in un’epoca in cui ancora non esistevano. La sua eredità vive nei fondamenti della teoria computazionale, nelle moderne tecnologie informatiche e nel continuo dibattito su cosa significhi pensare, capire e essere intelligenti. Ricordare Turing significa non solo onorare il genio, ma anche riflettere sull'importanza della libertà, dell'inclusione e del valore umano dietro ogni scoperta scientifica.
Autore: by Antonello Camilotto 1 agosto 2025
Nel mondo sempre più competitivo del marketing digitale, comprendere il comportamento umano è diventato fondamentale per progettare strategie efficaci. Qui entra in gioco la psicologia comportamentale, una branca della psicologia che studia come le persone prendono decisioni, spesso in modo irrazionale o influenzato da fattori ambientali. Applicare questi principi al marketing digitale consente alle aziende di creare esperienze utente più persuasive, aumentare le conversioni e costruire relazioni più profonde con i clienti. Cos’è la Psicologia Comportamentale? La psicologia comportamentale si basa sull’idea che gran parte del nostro comportamento è il risultato di stimoli esterni e che le decisioni non sono sempre razionali. Daniel Kahneman, premio Nobel per l’economia, ha dimostrato che le persone utilizzano scorciatoie mentali (i cosiddetti bias cognitivi) per prendere decisioni rapide, anche se non sempre accurate. Questo ha enormi implicazioni per il marketing digitale, dove le scelte avvengono in pochi secondi. Bias Cognitivi nel Marketing Digitale Ecco alcuni dei principali bias cognitivi utilizzati nelle strategie digitali: Effetto scarsità: Le frasi come “ultimi pezzi disponibili” o “offerta valida solo per oggi” spingono all’acquisto rapido, sfruttando la paura di perdere un’opportunità (FOMO). Prova sociale: Le recensioni, le testimonianze e i conteggi di “mi piace” agiscono come segnali di fiducia. Gli utenti si affidano al comportamento degli altri per decidere come agire. Effetto ancoraggio: Presentare un prezzo iniziale più alto e poi mostrarne uno scontato spinge il consumatore a percepire quest’ultimo come un grande affare. Bias di conferma: Gli utenti tendono a cercare informazioni che confermano le loro convinzioni. I contenuti personalizzati possono rafforzare questa tendenza e aumentare l’engagement. User Experience (UX) e Comportamento La psicologia comportamentale è alla base della progettazione delle interfacce utente. Alcuni esempi: Scelte guidate (choice architecture): Presentare una selezione limitata ma significativa di opzioni semplifica il processo decisionale e riduce il rischio di paralisi da analisi. Microinterazioni: Feedback visivi o sonori (come un suono quando si aggiunge un prodotto al carrello) rafforzano l’azione dell’utente e stimolano il senso di controllo. Chiamate all’azione (CTA): La formulazione, il colore e la posizione dei pulsanti possono influenzare significativamente il tasso di clic. CTA che trasmettono urgenza o beneficio personale tendono a essere più efficaci. Personalizzazione e Nudging I dati comportamentali raccolti tramite l’analisi dei cookie, delle sessioni e delle interazioni sui social consentono strategie di personalizzazione dinamica. Offrire contenuti o prodotti rilevanti nel momento giusto è una forma di nudge, ovvero una “spinta gentile” che guida l’utente verso l’azione desiderata, senza forzature. Esempio: Amazon mostra suggerimenti basati su acquisti precedenti, aumentando la probabilità di conversione grazie al principio di familiarità e rilevanza. Etica e Responsabilità Utilizzare la psicologia comportamentale nel marketing digitale comporta anche delle responsabilità. È importante distinguere tra influenzare e manipolare. Le tecniche devono essere usate in modo trasparente, rispettando la privacy degli utenti e favorendo un’esperienza positiva. La psicologia comportamentale offre strumenti potenti per capire e anticipare le reazioni degli utenti nel mondo digitale. Combinando l’analisi dei dati con i principi psicologici, i marketer possono progettare strategie più empatiche, efficaci e orientate al cliente. In un’epoca in cui la concorrenza si gioca spesso in pochi secondi e in pochi clic, sapere come funziona la mente può fare la differenza tra un visitatore distratto e un cliente fidelizzato.
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